La cucina partenopea ha una lunghissima tradizione che risale addirittura al periodo greco-romano. A partire da allora, anche per effetto delle varie dominazioni che la città e il territorio circostante hanno subito nel corso dei secoli, essa è via via divenuta sempre più ricca e variegata facendo propri elementi, ingredienti e sapori appartenenti a culture differenti.
Elementi, ingredienti e sapori, che nel tempo sono stati rielaborati dalla fantasia e dall’arte dell’arrangiarsi (anche in cucina) tipiche dei napoletani, finendo col divenire gustose prelibatezze culinarie come nel caso del baccalà e dello stoccafisso, piatti molto diffusi a Napoli e in Campania.

I napoletani e il baccalà: un antico amore

Il baccalà è stato importato per la prima volta nella Penisola nel periodo delle Repubbliche Marinare e nella città partenopea iniziò a diffondersi a partire dal 1500.
Quest’ultimo, assieme allo stoccafisso dal quale si distingue per via di alcune differenze (non solo) nel processo di lavorazione, era un tempo considerato una “pietanza per poveri” e nella città partenopea se ne consumava davvero tanto. Ciò non solo per il suo costo contenuto, ma anche perché la Chiesa della Riforma aveva proibito il consumo di carne nei giorni comandati, determinando un conseguente aumento della domanda di pesce che i soli prodotti ittici locali non riuscivano a soddisfare. A ciò, inoltre, si aggiunga che il fiume Sebèto, che bagnava l’antica Neapolis, offriva acqua in abbondanza per dissalare il baccalà e reidratare lo stoccafisso.

Venendo a secolo scorso, anche a Napoli (anche se in misura minore rispetto ad altre zone d’Italia), a seguito del boom economico del secondo dopoguerra, il loro consumo si ridusse a favore di quello della carne, simbolo di uno status sociale raggiunto (o desiderato) e di benessere.

In seguito, la moderna scienza dell’alimentazione ha (ri)conferito dignità allo stoccafisso e al baccalà, sancendo la bontà di un comportamento alimentare legato al loro consumo che in passato i napoletani avevano adottato per necessità. Oggi, infatti, il risultato della sfida con la carne (in termini di benefici nutrizionali), che sembrava miseramente perduta, è completamente ribaltato: piccolo è il vantaggio del baccalà riguardo al contenuto di zuccheri (ne contiene in misura minore) mentre pari è il confronto riguardo al contenuto di proteine e di grassi. Quest’ultimo, però, è un pareggio fittizio che in realtà vede primeggiare il baccalà: i suoi grassi, infatti, a differenza di quelli della carne, sono i famosi Omega 3, grassi insaturi e “buoni” che ripuliscono le arterie.

Ode al baccalà

Il fatto che a Napoli ancora oggi il baccalà è un piatto estremamente popolare non solo è testimoniato dalle numerose insegne di “baccalari” di cui è piena la città e dal fatto che napoletani e campani sono i principali consumatori di baccalà e stoccafisso d’Italia (a sua volta uno dei principali paesi consumatori al mondo), ma anche dal fatto di essere il protagonista di una simpatica espressione diffusa nel linguaggio comune di Napoli e dintorni, “Sie nu baccalà!”, usata per indicare una persona imbranata e ottusa.

Un’ulteriore prova sono poi le numerose pietanze della cucina napoletana a base di baccalà e stoccafisso: oltre alla pancetta di stoccafisso con le patate, al “coroniello”, ossia la pancia dello stoccafisso (considerata la sua parte migliore) cucinato in vari modi e al “mussillo”, ovvero il filetto di baccalà, la parte dorsale del merluzzo, come non ricordare il baccalà al forno alla napoletana, un piatto allettante e saporito che al gusto del baccalà combina quello dei pomodori e delle olive nere di Gaeta, con la sorpresa dei pinoli e dell’uvetta, e il baccalà fritto, protagonista dei cenoni della Vigilia di Natale nelle case partenopee.

Baccalà e stoccafisso, infine, oltre che in gustosi e raffinati piatti della cucina napoletana sono anche finiti nei versi di Antonio Parlato, avvocato e politico italiano.

Nel 2007, nel libro “Sua Maestà il Baccalà“, gli dedicò questa simpatica filastrocca:

Nei mari del Nord, tra un tuffo e uno spruzzo viveva beato il Pesce Merluzzo. Ma un giorno i Vichinghi dagli elmi a stambecco lo videro, e allora lo fecero secco. Strappato, a milioni dal placido Abisso e all’aria asciugato: è lo stoccafisso. I Baschi, che stavano un poco più in basso vedendo i merluzzi restaron di sasso: e i pesci, pescati con furia bestiale ficcati in barile restaron di sale. Nel mondo dilaga la gran novità: che grande sapore! Cos’è? Il baccalà!